Mi sono chiesta se lasciar correre o se, dinnanzi all’ennesima aberrante allucinazione come la vicenda sollevata dalla stampa per l’accusa mossa dai genitori del nido d’infanzia Pezzoli di Bologna e portata alla cronaca del Resto del Carlino il 4 ottobre 2019, non fosse il caso di esprimersi.
Le vicende che periodicamente assalgono i servizi per la prima infanzia portandoli alla ribalta della cronaca hanno a che fare con una presunta richiesta di neutralità degli interventi educativi e di pretesa ibridazione del gesto educativo, di un gesto che non può e non deve, a dire degli accusatori, essere di parte, ritenendo di parte la proposta di una canzoncina il cui testo è dichiaratamente destinato ai bambini, ma la cui melodia richiama la nota storica canzone “Bella ciao”.
Sono da pochi anni in pensione e desidero esprimermi sia come cittadina bolognese, sia come pedagogista che ha lavorato a diverso titolo, cioè in tempi diversi con ruoli diversi in questi ultimi 40 anni, nei servizi per l’infanzia del Comune di Bologna e di altri Comuni della regione Emilia-Romagna; nell’ultima fase del mio percorso professionale mi sono occupata da dipendente regionale della programmazione degli interventi gestione e qualificazione dei nidi d’infanzia dell’intero territorio regionale, cercando di conciliare il mandato politico di giunte di diverso colore politico con la progettazione pedagogica che motiva l’offerta pubblica di questi servizi.
Provo a mettere in ordine le considerazioni che vorrei portare all’attenzione dei lettori ed in primo luogo ai genitori il cui bambino frequenta il nido d’infanzia Pezzoli.
Intanto alcune riflessioni di natura pedagogica: chiunque legga la carta dei servizi e il progetto pedagogico a cui essi fanno riferimento, e che sono resi noti alle famiglie al momento dell’iscrizione, si rende conto dell’impegno profuso delle educatrici e delle coordinatrici pedagogiche per valorizzare un approccio educativo capace di rispettare la diversità, in grado di assumere le molteplici variabili culturali che attraversano il nostro mondo.
La motivazione dell’agire quotidiano delle educatrici e delle insegnanti nasce dalla convinzione che educare nella contemporaneità significa accogliere quotidianamente i bambini assegnando loro lo statuto di persone, ovvero soggetti protagonisti del loro tempo, offrendo loro tutti gli strumenti e le sollecitazioni utili a costruirsi una rappresentazione della realtà la cui fisonomia assume i contorni, almeno nei primi anni di vita, di una fiaba.
I bambini ci guardano e ci insegnano, fin dalla più tenera età, che a loro appartiene lo stupore, l’incanto, il piacere di sperimentare, di scoprire e di misurarsi con l’imprevisto perché la realtà che li circonda è una grande sfida che li riguarda e verso la quale si muovono con il piacere di rinnovare ogni giorno il patto con gli adulti che risulta tanto più efficace, autentico e coinvolgente se orientato ad usare il gioco e la dimensione ludica come sfondo del loro pensiero e delle loro azioni.
La ricerca pedagogica ci insegna che i bambini amano muoversi nel mondo aggredendolo con lo sguardo, la parola, il gesto ma il loro slancio non ha come per gli adulti, connotati e significati legati ad una concezione di bene e di male, nei termini in cui gli adulti lo utilizzano e lo praticano; sicché quella canzoncina facente parte di una compilation per bambini, sorretta da una melodia che richiama “Bella ciao” ovviamente non li induce ad autoidentificarsi come futuri potenziali sovversivi, cosi come se ascoltassero un’altrettanta melodia sui toni di “Faccetta nera” , il loro automatico destino non sarebbe quello di riservare loro l’imprinting da piccoli balilla!
Si potrebbe ritenere che la richiesta, indotta dalla denuncia, è semplicemente quella della neutralità, una bizzarra aspirazione, visto che nulla è neutrale a questo mondo e che tutto in qualche modo è frutto di costruzioni e influenze culturali che attraversano tutti noi e si manifestano nella comunicazione, nei gesti, e in tutte le forme in cui la relazione e l’espressione del corpo e della mente hanno luogo.
Allora se la neutralità non può avere cittadinanza nei nostri pensieri e nelle nostre azioni, occorre prendere atto che non è con l’interdizione o con l’attacco pubblico al lavoro educativo che si risolve il problema; il buon senso, prima ancora che la correttezza, vorrebbe che i genitori intrattenessero con le educatrici uno scambio prima di portare sulla scena, senza neppure avvisarle, il loro disagio per farne un gesto mediatico molto più violento della melodia incriminata. E tralascio la scia della strumentalizzazione politica che trovo nauseante.
Si, perché in una società che tende a trasformarsi ogni giorno di più in una arena in cui si condanna pubblicamente e con l’arroganza mediatica della carta di giornale, o della trasmissione trash televisiva, ciò che urta la suscettibilità del singolo, e ci si dimentica, o peggio ancora si sceglie di non utilizzare gli strumenti che questi servizi offrono ai genitori, per condividere le scelte educative, è un secondo aspetto che pongo all’attenzione, rilevando come la cultura del sospetto e della diffamazione certamente non costituiscono modelli educativi da passare in eredità ai propri figli.
In definitiva a mio avviso due sono gli aspetti che rendono la scelta dei genitori del nido Pezzoli fortemente criticabile: da un lato prestarsi alla strumentalizzazione dei media utilizzando a pretesto quello che loro ritengono un legittimo bisogno di neutralità educativa, e dall’altro tradendo il patto educativo con il nido e il suo staff, il quale avendo come competenza professionale la realizzazione del progetto pedagogico, meriterebbe di essere quanto meno consultato prima di essere lanciato al pubblico ludibrio.
Evidentemente la partecipazione alla costruzione del progetto di cui le famiglie e i genitori sono i primi interlocutori ai quali i servizi si rivolgono, non costituisce, per alcuni di questi, una garanzia a cui ricorrere per dare senso ad un agire comune tra nido e famiglia.
Detto tutto ciò mi chiedo: quale spazio hanno davvero i bambini nelle menti e nel cuore degli adulti?
Questo è l’interrogativo da cui occorre ripartire per rieducare i grandi al valore della paideia ossia a quella pratica riferita non solo all’istruzione ed educazione dei bambini nell’antica Grecia, ma anche al loro sviluppo etico e morale allo scopo di renderli cittadini autenticamente completi, in grado di entrare armoniosamente da futuri adulti in una società a cui consegnare le redini di una democrazia le cui premesse si fondano sul rispetto dell’altro e non sulla sua negazione.
Sandra Benedetti