Recenti uscite sul Corriere della Sera, riprese anche da La Stampa, dichiarerebbero un rischio di minor QI per i bambini che frequentano il nido
IL MISFATTO
1.
Titolo sbagliato anche rispetto al contenuto dell’articolo; si enfatizza la perdita di valori di QI ma si omette di dire che riguarda solo i bambini di famiglie “abbienti”, mentre avviene il contrario per i bambini di famiglie svantaggiate, il ché – sia detto fra parentesi – non è proprio la stessa cosa.
2.
Lo spicchio osservato dall’indagine condotta da economisti dell’Università di Bologna è particolarissimo – Bologna – ed è davvero SCORRETTO generalizzare il risultato come se fosse valido in generale. Inoltre, il parametro del QI è molto specifico e non può essere utilizzato come unico parametro di riferimento per capire se i bambini stanno bene e, in particolare, se hanno opportunità adeguate per stare bene; ma qui il discorso sarebbe lungo…
3.
Infine, la prognosi degli economisti – ma non sarebbe meglio che si occupassero di economia (che ne avremmo bisogno) piuttosto che sospingersi in territori di cui , come ben visibile, non capiscono proprio nulla? – è un esercizio ad effetto che mostra una assoluta debolezza almeno su due punti:
- chi l’ha detto che la relazione diadica fra bambino e adulto è favorente di per sé per lo sviluppo di un bambino? E, soprattutto, chi l’ha detto che “a meno di uno o due anni di vita le interazioni sociali con i coetanei presenti al nido sono pressoché nulle”? Non è vero proprio per nulla, e infatti non vengono citate ricerche a supporto, ma sono sempre gli economisti in causa che fanno i saputelli
- l’idea di aumentare il rapporto numerico per favorire i già favoriti e – solo indirettamente – anche gli svantaggiati è una trovata ad effetto, in un contesto nel quale la riforma in corso di attuazione spinge per la diffusione dei servizi per colmare un deficit innanzitutto quantitativo: siamo oltre 10 punti sotto al target europeo e non abbiamo standard di rapporto numerico inferiore ad altri paesi: come mai dovremmo aumentare lo standard del rapporto numerico con la conseguenza certa che la maggiore diffusione non potrà realizzarsi?
IN REALTÀ:
1.
La frequenza di un nido ha effetti positivi sulle competenze dei bambini in età scolare e soprattutto se frequentato già nei primi due anni di vita; secondo PISA OCSE 2012 rielaborato da Save the Children, le competenze scolastiche crescono fortemente in caso di frequenza al nido e ancor di più se questa frequenza è durata più di un anno
2.
In generale, la possibilità di avere esperienze sociali al di fuori della famiglia e con altri coetanei è dunque molto positiva sempre e – ovviamente – non perché i genitori e gli adulti non hanno un ruolo positivo, ma perché i bambini hanno bisogno di avere esperienze in una ecologia sociale ricca e diversificata, di cui fanno parte anche i coetanei. NOTA BENE: non stiamo scoprendo nulla di nuovo rispetto a quello che è sempre accaduto in tutte le comunità sociali del mondo in cui NORMALMENTE i bambini crescono insieme a diversi adulti – genitori, nonni, parenti e rete informale – e molti altri bambini – fratelli ma anche gruppo dei pari – con la sola esclusione di quanto accade da pochissime generazioni in alcune società post-industriali in cui il controllo delle nascite e gli impedimenti economici a fare figli producono l’effetto di avere famiglie con un solo figlio, in cui i bambini non incontrerebbero altri bambini fino a 3 anni se non ci fossero servizi come il nido.
3.
INFINE: basta caricare tutto sui genitori – e in realtà di fatto sulle donne – affermando in modo tendenzioso che se i bambini perdono il contatto PRETESO ESCLUSIVO ED ESAURIENTE con l’adulto maturano svantaggi con la sola esclusione di quelli provenienti da famiglie svantaggiate; questo vuol dire in realtà chiacchierare a vanvera, ma, soprattutto – se i media non controllano quello che pubblicano perché il problema è solamente “fare notizia” – vuol dire disinformare e anche mettere in forse politiche che, pur faticosamente, si affermano progressivamente con la forza dei fatti: oggi, se dio vuole, la riforma dello 0-6 punta alla diffusione dei servizi e alla loro qualificazione:
- nell’interesse primario dei bambini
- e anche ben sapendo che, senza servizi, le politiche di conciliazione non si sviluppano e, alla fine della storia, l’unico effetto certo è che di figli se ne faranno sempre di meno
ALDO FORTUNATI
Sono d’accordo con quanto scritto dal collega Fortunati. E’ possibile interpretare i dati di una ricerca in questo ambito solo nel contesto dei risultati delle grandi ricerche internazionali, dove il controllo delle variabili rilevanti ai fini di un risultato è molto più ampio. Le generalizzazioni sommarie ad uso del grande pubblico su un tema così delicato è sempre da evitare.